Romano Boriosi nasce nel 1956 a Città di Castello, dove oggi vive e lavora. Fin da giovane si dedica alla pittura e scultura. A soli undici anni nel 1967, inaugura la Sua prima personale all’Accademia degli Sbalzati di Sansepolcro, esponendo quaranta opere pittoriche di notevole impegno artistico, che suscitarono meraviglia nella critica più qualificata. Frequenta e gode della stima di grandi maestri quali: Carlo Levi,Umberto Mastroianni, Afro Basaldella, Emilio Greco, Primo Conti, Gerardo Dottori del quale diviene allievo e dal quale assimila tutto il linguaggio innovativo, e Alberto Burri, che sorpreso per le sue doti, lo stimola a proseguire, con propria personalità e sperimentazione, per quella strada da lui tracciata.
Palazzo Inghirami,
via XX Settembre 65San Sepolcro (AR)
Ripercorrere un filo ancestrale. L'attuale ricerca pittorica di Romano Boriosi. Per questa impegnativa mostra itinerante in Italia e all'estero, il pittore tifernate Romano Boriosi ha impostato - con notevole vigore intellettuale unito ad una convincente ricerca sul segno grafico-pittorico (per di più valorizzato da tecniche esecutive di digerente natura, quali, soprattutto, l'acrilico e la combinazione polimaterica, con scelta pressoché esclusiva della tela come supporto) - un'importante riflessione di carattere storico-antropologico. Principale meta di Boriosi è verificare se ciò che oggi riconosciamo come nostra più intima essenza sia la risultante di una sostanziale eredità filo genetica che prende le mosse fin dai segni primordiali della preistoria in una catena senza soluzione di continuità, o se, piuttosto, la nostra evoluzione sia il frutto del concatenarsi - egualmente incessante ma con dinamiche diametralmente opposte - di fratture traumatiche intervenute nel corso del tempo. La risposta a questo interrogativo assai complesso, e di non facile e definitiva interpretazione, per Romano va decisamente nella prima direzione, sia come generale ipotesi di lavoro sia sul versante prettamente artistico-formale. Nei dipinti dell'artista fanno infatti mostra di sé elementi archetipici, ancestrali e primordiali, un po' come se il dipanarsi degli eventi umani prendesse sostanzialmente le mosse dalle tracce segniche della preistoria. Tutto ciò, naturalmente, presuppone un modo di vedere il concatenarsi della nostra civiltà come ancorato a delle costanti che non sono mai state veramente superate: infatti, se da un lato, non può sussistere dubbio alcuno che l'umanità ha compiuto mirabolanti progressi (come ben illustra, ad esempio, la tecnologia), dall'altro sono ben scarse - parlando ovviamente su un piano generale - le prove che gli uomini abbiamo davvero superato quell'istintualità aggressiva che li caratterizza fin dall'inizio dei tempi e che si riverbera nell'esplosione continua di guerre e conflitti, purtroppo non solo fra stati e nazioni ma anche nel quotidiano. Una visione, in cui tendono certamente a mescolarsi e a confondersi pessimismo e realismo, ma che ha in Friedrich Nietzsche il suo padre lucido e nobile, come ben attestano, fra le altre, alcune straordinarie pagine della sua Genealogia della morale (1887). Naturalmente c'è anche molto di junghiano in questo agire di Boriosi, pur se in lui tutto nasce fondamentalmente dall'amore per il segno e per il desiderio di rivisitare - attraverso la sua personale sensibilità - lo svolgersi delle tracce e delle impronte artistico-culturali lasciate dall'uomo, non solo nel decisivo ambito della preistoria ma anche nelle tante tappe del percorso storico successivo. Ma, osservando da vicino proprio la struttura formale prescelta da Romano per questo suo nutrito gruppo di opere (oltre un centinaio), risalta immediatamente all'occhio che egli abbia avuto soprattutto in mentre i nostri lontani progenitori di Altamira e di Lascaux. Struttura formale peraltro arricchita da un'attenzione tutt'altro che episodica e superficiale a certi echi di ambito cubista e surrealista (movimenti in cui, tra l'altro, proprio il primitivismo giocò un rotolo di grande rilievo), nonché dalla conoscenza della poetica di uno dei migliori artisti di questi ultimi decenni, quel Mimmo Paladino, protagonista della Transavanguardia, che ha impostato tanta sua ricerca proprio sulla riflessione intorno alla ancestralità (ho qui in mente, tra le tante possibili citazioni, un complesso emozionante come il suo Hortus Conclusus di Benevento, 1992). Ma c'è un'ulteriore fondamentale radice che può contribuire a illuminare alcune scelte di Romano Boriosi, artista che da gran tempo ci ha abituato alla poliedrica multiformità dei suoi interessi: la sua provenienza da quel comprensorio dell'Alta Val Tiberina che, da tempo immemore e in un filo in cui rifulgono autentiche perle come Piero e Burri, continua a ispirare chiunque coltivi una sensibilità verso l'arte e la cultura, pur entro una realtà presente non sempre in grado - qui come altrove - di favorire il progresso umano nel suo significato più autentico e profondo.
Emidio De Albentiis
Un'arte che ha per suo oggetto preferito l'arte stessa. La caratteristica principale di Romano Boriosi sembra averla dichiarata meglio di alcun altro Silvia Bindelli: "Viene da pensare che ludico e pittura per Boriosi siano la stessa cosa e che si diverta oggi come venticinque anni fa quando bambino ha intriso il pennello nel colore ed ha giocato, ma stupito per l'innata creatività» (La stampa, venerdì 24 giugno 1994). Questa felice e produttiva disposizione è stata favorita ed alimentata da un ambiente particolarmente ricco e stimolante come è stato Città di Castello nella seconda metà del secolo scorso, ambiente in cui Romano si è trovato immerso respirando "arte nella stessa quantità in cui ha respirato aria" (R. Manescalchi, Catalogo "In Principid', 2003, p. 26). Lo battezzò, dal punto di vista artistico, Gerardo Dottori, nel cui laboratorio Romano assimilò tutto il linguaggio fortemente innovativo del futurismo: Scriveva il Dottori al padre: "Sono rimasto sorpreso, meravigliato ed ammirato per il suo spiccatissimo senso di osservazione, la facilità di tradurre queste osservazioni in realtà pittoriche, conferendo loro quel tanto di umorismo che basta per dare caratteri e caratteristiche alle cose e persone. Il tuo ritratto è cosa articolarmente felice" (Lettera del 1967, vd. Catalogo, 2003, cit. p. 8). Alberto Burri osservò con acume e simpatia quel ragazzino — Boriosino lo chiamava - che si ritrovava spesso tra i piedi e lo incoraggiò e consigliò in continuazione, compiacendosi infine, siamo nei primi anni '90, nel vederlo proseguire sulla sua propria strada con il materico. Abbiamo una foto in cui Carlo Levi osserva ammirato quello scricciolo dodicenne, che lecca un gelato e "finge" di non accorgersi della tanta attenzione suscitata dalla sua prima mostra. Primo Conti fu tra i primi ad acquistargli un quadro. Anche Fernando Fusco era di casa e non poteva non lasciar tracce nel giovinetto tanto ricettivo. Come Bartolini, Alessandrini, i Sarteanesi, ecc., pur sempre operanti nell'ambiente anche se meno frequentati. E poi il padre, che, oltre ad essere poeta di fama non solo nazionale (Prix Europe 71, a Parigi, oltre i tanti premi nazionali) era etruscologo e glottologo: per il suo tramite conobbe gli Etruschi e tante culture primitive, allineandosi ai tanti pittori che a quelle culture nel novecento si sono avvicinati, ma con il vantaggio, lui, di aver avuto una guida tanto attenta quanto esperta. Immerso in questo mondo artistico Romano è divenuto soprattutto il pittore dell'arte stessa, fatto di cui sembra finalmente esser divenuto pienamente consapevole come il titolo di questa Mostra evidenzia, per cui ci si duole dell'assenza di due opere come "Sognando l'arte" o "Donna Musa", che questo traguardo artistico finalmente raggiunto segnalavano in modo così spiccato. Le due Mostre precedenti infatti, In Principio. Perugia, Rocca Paolina, 7-22 giugno 2003 e La luce nell'arte, Perugia, Comet-Tarlazzi, 5-19 marzo 2005, si ponevano un po' lo stesso obiettivo, ma non con la stessa consapevolezza. La presente Mostra, quindi, conclude un itinerario ed é, nelle sue forme divenute sobrie ed essenziali, una summa di tutta l'opera dell'artista. Passando ora in rapida rassegna i 98 quadri si apre ai nostri occhi un panorama di immagini dal sapore primordiale che nel suo sviluppo arriva alle forme della pittura moderna, pittura che ha il vezzo-vizio di rifarsi appunto al "primitivo", ricercato in tutti gli angoli della terra: echi, richiami, suggestioni, citazioni, interpretazioni, rielaborazioni, remakes, che vanno dalla pittura rupestre, agli Etruschi, al Medioevo ed al Neoclassicismo, via via fino al surrealismo, alla pop ari, alla transavanguardia, al materico (sempre eccellente nel Boriosi) ecc., ché proprio nessuna forma artistica sembra sfuggire alla voracità stilistica del pittore, in perenne sfida emulativa con gli altri e con sé stesso. Potrebbe esserci anche qualche "fraintendimento", forse voluto o forse no: ma che importa se un Foscolo, ad esempio, creò un capolavoro con I Sepolcri, "fraintendendo" l'editto di Saint —Cloud, che tutti avevano compreso, come anche forse, birbante, lui stesso? L'individuo creatore spesso non capisce ciò che tutti capiscono e non é raro il caso che ad azzeccarci sia proprio lui. È da decidere, quindi, se ciò che non si offre limpido alla comprensione — perché le donne hanno sempre un occhio solo? - avvenga per insufficienza o per calcolo, quel "calcolo" per cui l'artista spesso ama nascondersi e per cui, ad esempio, il nostro Dante scrisse che «a chi ha nobile ingegno [...1 é bello un poco di fatica lasciare» (Convivio, III v 20). Sarei per questa seconda ipotesi. Nell'insieme prediligerei i "cavalli"- 6170, 6172, 6196, 6222, 6223, 6226, 6227, 6228, 6229, B231 (don Chisciotte), 6235, ecc. -, anche in certe scene di battaglie - 6169, 6223 - le "ballerine" - 6181, 6184, 6186, 6195, 6203, 6221, 6287 e 6288 - quadri con cui non a caso il pittore chiude la sua galleria. Pensando torse ad esse a Gino Vlahovic venne in mente il nome di Toulouse Lautrec (Estro, ottobre 1979), e certo in esse non manca la scansonatezza di una Jane Avril: "cavalli e "ballerine" sono da sempre, ci si perdoni il bisticcio, il cavallo vincente del pittore. Vedi anche le danze - 6225, 6227, 6275 (danza etrusca) - quadri che richiamano forse Matisse. Discorso a parte meriterebbe il "Fiat Lux" (6200) che intitolerei meglio "Fiat vita", dai significati di notevole spessore religioso e filosofico. Così per i Neri siderali della prima serie, in evidente contrapposizione con la serie luminosa e solare, vitalistica direi, della seconda parte: un risorgere alla vita ed alla speranza dallo sgomento e dall'angoscia indotti dalla constatazione dell'insondabile mistero della vita e della nostra piccolezza e fragilità di fronte ad esso, problemi tanto percepiti in questi tempi di smarrimento? Un grido di speranza nel dilagante pessimismo generale? Ne avremmo bisogno.
Romano Manescalchi
L'impresa che è volta al successo è quella che non si adagia al raggiungimento di risultati importanti, ma investe sempre con rinnovata forza nella formazione del personale e nell'innovazione. L'impresa che si ripiega in uno scontato vissuto corre il pericolo di essere messa ai margini. Chi, in questa attività, si riterrà soddisfatto rimarrà imbrigliato nella estetica e nella tecnologia già sfruttata e difficilmente riuscirà a rimanere in contatto con il mercato e a soddisfare le esigenze degli utenti. L'azione operativa deve essere, non solo rispettosa dei processi tecnologici, a tempo reale e avere l'occhio mirato alla irreversibile globalizzazione, ma deve essere anche attenta alle urgenze che insorgono dal mondo reale di una società in rapida e frenetica trasformazione. Quest'ultima, non di rado avverte l'esigenza di sperimentare nuovi percorsi per dare risposte più avanzate e più funzionali ad un uomo sapiente ed estetico che non si accontenta più. In questa consapevolezza la Comet-Tarlazzi, sempre più attenta alle novità tecnologiche ed estetiche, ha voluto porre in essere, insieme al Circolo Culturale Fausto Nitti e con il patrocinio della Regione, Provincia, Comune, dell'Ordine degli Ingegneri, degli Architetti e del Collegio dei Periti, una interessante sperimentazione che possa vedere coniugato nei propri locali l'esito artistico di un originale pittore come il Maestro Romano Boriosi e gli artistici manufatti illuminanti. Senza per nulla voler ferire le Gallerie d'arte e gli spazi museali. La esposizione delle opere di Romano Boriosi che non hanno nulla di trasgressivo, trova ragione in esempi nobili come gli essiccatoi di Burri, il Lingotto di Torino, la Stazione di Parigi, il Lyrick Theatre di Assisi, laddove l'archeologia industriale ritrova una sua riutilizzazione senza tradire le pregresse testimonianze architettoniche. Ma soprattutto nelle varie mostre che vanno moltiplicandosi negli alberghi di tutto il mondo, nei caffè e in luoghi la cui destinazione d'uso era altrimenti. Tutto ciò non è fatto per avere un valore aggiunto o per intercettare utenze, sicuramente distratte e distanti dall'arte, ma semplicemente per intercettare nuovi bisogni di bellezza e di verità in comunione con la luce e l'illuminazione. La luce è risorsa essenziale per meglio cogliere la bontà oggettuale o esituale, in linea con il raffinamento del "gusto" che chiede sempre più valenze tecnologiche ed estetiche; contribuendo così all'avvento di una migliore qualità della vita e di una "democrazia tecnologica ed artistica". E lo abbiamo fatto con un impegno del tutto culturale, che vede nel confronto di autorità politiche, professionali ed artistiche, motivazioni per incontrarsi e per formulare nuovi progetti, avvalendosi di specifiche competenze e di maturate esperienze. Non neghiamo un pizzico di soddisfazione e di orgoglio per aver contribuito ad una pausa di riflessione sul rapporto che può e deve esistere tra arte e corpi luminosi. Tutto ciò per godere di più e meglio la luce nell'arte e l'arte nella luce.
Franco Cossiri - Presidente Comet-Tarlazzi spa
Conosco Romano e la sua candida Arte, conosco Giovanni e la sua coerente Critica, conosco Marino e le sue capacità di Fare. La risultante alchemica di questi TRE elementi drogati dal messaggio di Fausto Nitti (+ UNO) non può essere altro che una luminosa sublimazione dell'effetto. Un effetto che risponde appieno al canone principale del Circolo Culturale "Fausto Nitti": "... e lavorare per il bene ed il progresso dell'Umanità". È stata proprio l'immagine del progresso a farmi "tuffare" nel progetto; ho associato all'eccezionalità dell'evento la possibilità d'accesso al Bello da parte anche di tutti coloro che, coinvolti oltremodo dal quotidiano, non hanno la consuetudine di visitare musei o gallerie. Il luogo, uno show-room d'illuminotecnica, scelto per esporre le opere di Romano mi ha immediatamente impressionato per la perfetta simbiosi che genera tra Luce ed Arte. Alla proposta mi sono lasciato andare in un viaggio fra i Galli posti sui tetti per fermarmi all'attualissima "Saga di Gilgamesh" ed ho concluso che al Circolo mai più capiterebbe occasione migliore per sostenere il concetto di progresso. Esso, affinché lo si continui a chiamare progresso, deve essere estendibile a chiunque e non esclusivamente a determinate categorie di persone: se ciò avvenisse, si dovrebbe parlare di privilegio visto che riguarderebbe una fascia ristretta di persone. In conclusione è evidente come il progresso sia da ricercare soprattutto nella sfera dei beni immateriali i quali, meglio di altri, permettono l'accesso a fasce sempre più ampie delle popolazioni, senza, per questo, venire distrutti. Ho quindi colto al volo l'importanza dell'ambasciata che l'evento rappresenta. Luce (artificiale) utilizzata come ulteriore utensile dall'Artista nella proposizione dei propri messaggi : una vera e propria sciccheria!!! Un luogo di dominio pubblico: un trionfo di accessibilità!!! Molto si è scritto su Luce e fotografia, teatro, spettacolo, musica, monumenti, danza, moda. Poco si è voluto, in maniera così determinata, rendere disponibile all'Arte con la Luce. La possibilità di "toccare con mano" l'enfasi che un appropriato contributo luminoso può dare ad un'opera d'Arte diviene adesso prerogativa di tutti. Se non è progresso questo! Ringrazio tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo evento e, in particolare, ringrazio Fausto Nitti che, dall'alto dei cieli, ci permette di fare un'altra "passeggiata" a bordo di quel gommone sgangherato che gli permise di riconquistare la Libertà. Grazie.
Marco Marsili - Presidente Circolo Culturale "Fausto Nitti"
L'eredità che Alberto Burri ha affidato alla sua terra è materiale ed immateriale. La produzione di autori come Romano Boriosi costituisce un esempio di questo secondo lascito, che forse si impone più discretamente ma della cui esistenza la vivacità e la qualità degli artisti tifernati non permette di dubitare. L'ispirazione creativa di Alberto Burri e dei suoi illustri predecessori nella linea storica, - Raffaello, Signorelli, Rosso Fiorentino - rappresenta un humus vivo e operante che l'Amministrazione sta mettendo a leva per liberare una vocazione culturale diffusa che Città di Castello non ha ancora espresso in modo compiuto. Romano Boriosi è un operatore culturale attivo e versatile, capace di grandi astrazioni e insieme di riconoscere se un fatto artistico può trasformarsi in un evento. La fortunata mostra di Andy Warhol '"Non leggo mai guardo solo le figure" é riuscita a tenere in equilibrio la due cuspidi di qualsiasi politica culturale. Inoltre il ritorno di Romano Boriosi dopo quasi due decenni di assenza è un segnale di come anche la società civile, le persone reali si stiano muovendo nella stessa direzione, cogliendo nel coraggio di sperimentare la vera cifra dei difficili tempi che attraversiamo. Il fatto che Palazzo Vitelli a Sant'Egidio, futuro centro per l'arte contemporanea, si apra ad una nuova stagione artistica di Romano Boriosi non è certo casuale ma sottolinea la volontà, comune a tutti i soggetti coinvolti, di restituire alla reggia la centralità che ebbe nella vita pubblica quando fu eretta, facendone un polo di attrattività territoriale e di crescita economica. Un obiettivo che pretende intenti e concorso di visioni: l'operazione che Boriosi ci propone, sviluppando alcuni tempi propri dalla sua formazione e della sua sensibilità, è un contributo interessante alla definizione della fisionomia culturale che stiamo componendo, mettendo a sistema tradizioni ed epoche che poco avrebbero da dirsi se non fossero foglie a pieno titolo di questa terra: tra Rinascimento ed Avanguardia, vogliamo credere che ci sia uno spazio e non un vuoto. Che ci sia un ponte e non uno iato. Nella sua ricerca di immagini e di significati, di tracce delle impronte, Romano Boriosi sembra condividere questa sfida, la cui eco siamo certi accompagnerà la mostra lungo le prestigiose tappe che la attendono in Europa e nel mondo.
Luciano Bacchetta - Sindaco di Cina di Castello
Romano Boriosi: le radici, la forniRomano nasce e cresce in una famiglia ricca di intraprendenza ed ingegnosità: "ricchi senza denaro" definiva sé e la sua famiglia il poeta Nino, il padre, reduce di guerra e da una lunga prigionia in Egitto. Era già una celebrità al momento della nascita di Romano, in contatto ed amicizia con le maggiori personalità del tempo: Croce, Quasimodo, Ungaretti, Trilussa, Cardarelh, Saba, Enrico Pea, Carlo Levi, ecc., con gli artisti locali e tra di essi Alberto Burri, con il quale per un certo periodo fece vita in comune, a Roma, dopo una similare lunga esperienza di guerra - da volontari - e di prigionia, che li aveva fatti reincontrare al ritorno or patria nel '46. Poi Dottori, Fusco, Bartolini ecc. Ed artisti come Tino Scotti, Renato Rascel, Totò, il maestro Angelini, il cantante Roberto Muralo ecc. E forte é su Romano l'influenza di questo padre, un uomo che ha vissuto all'insegna del galileiano "provare e riprovare", cui aggiungerei "e riprovare ancora" (poeta, saggiata, filologo - chiamato come tale a collaborare al Grande Dizionario della UTET etruscologo, glottologo, campi tutti dove ha lasciato il segno della sua forte personalità). Tramite il padre, d'altronde, si travasava nell'ambiente tifernate quanto di più innovativo andava maturando nella cultura del secondo novecento. Ed il piccolo Romano ascoltava ed assorbiva, magari continuando i suoi giochi o succhiando gelati, come lo si vede in una foto della sue prima Mostra a San Sepolcro, davanti a Carlo Levi, con consumata noncuranza: ed intanto idee, prospettive, problemi si interiorizzavano in lui, divenivano la sua natura, d serbatoio da cui ancora attinge, sen. averne piena consapevolezza. Regolare il suo corso di studi, fino alla scuola di giornalismo di Urbino, conduca onorevolmente. Ma il background del nostro autore non proviene tanto da una formazione scolastica - come ci é capitato di dire più volte é costituito soprattutto da ciò che ha assorbito dall'ambiente quello adturale già detto e l'altro della strada, delle impietose battaglie tra coetanei, e poi quello di una vita irta di difficoltà in cui per farsi avanti bisogna sgomitare e soffrire: una vita sempre intensa, piena di ostacoli, di fatiche, di arrangiamenti in vari mestieri, (giornalista, fotografo, antiquario e non so che altro), che lo hanno non poco distolto, a volte, da quella che é la vocazione sua più vera: plasmare forme e più to scultura che non in pittura, tutto istinto e intuizione. Lo hanno distolto, è vero, ma anche alimentato: come può esserlo chi é costretto a buttarsi in mezzo alla vita, ai suoi problemi, non di rado tra Scilla e Cariddi: la Scilla di conti da pagare a precise scadenze e la Cariddi di entrate che non arrivano o arrivano in ritardo. Riceve da subito apprezzamenti e conforti autorevoli. Per dir solo dei maggiori: • Carlo Levi gli fa da padrino alla prima Mostra nel 1967, presso gli Sbalzati di Sansepolcro, • Primo Conti incoraggiò il giovanissimo pittore comprandone un quadro e rivolgendogli parole di augurio per il «promettente talento». • Gerardo Dottori se Io cura nel suo laboratorio: "Sono rim.to sorpreso, meravigliato ed ammirato per il suo spiccatissimo senso di osservazione, la facilità di tradurre queste osservazioni in realtà pittoriche, conferendo loro quel tanto di umorismo che basta per dare caratteri e caratteristiche alle cose e persone. Il tuo ritratto é cosa particolarmente felice". Lettera al padre Nino, del '67. • Anche Burri guardò con simpatia le prove di «Boriosino», come lo chiamava, e lo incoraggiò a fare mostre. Burri ha finito per spezzare certe paratie mentali, m ancora rimanevano, aprendo ulteriori orizzonti: anche se tra la problematica metafisica, radicale, parmenidea, del teterrimo Alberto e la gioiosa inventività di Romano, anche giocosa e scanzonata, non c'è stata né poteva esserci alcuna vera sintonia spirituale. • Fernando Fosco (il noto disegnatore di Tex), che ha apportato nel Tifernate la sua lunga esperienza parigina, è poi una presenza continua in casa Boriosi. E con Fusto altri artisti locali, quale lo scultore Bartolini ecc. 11 successivo arricchimento dell'arte di Romano Boriosi, arte poi variamente alimentata nel suo percorso (e si vedano i vari Cataloghi senza più oltre qui dire), avverrà pur sempre su queste radici, ragione per rei ci piace qui, ancora una volta, richiamarle e metterle in evidenza.Su quest'ultima prova, infine «La luce nell'arte di Romano Boriosi» la parola all'amico Zavarella, intervenuto già autorevolmente e curatore degli altri tre cataloghi dell'artista rei io stesso ho avuto la fortuna di collaborare. A me basta notare che, nella inesauribile inventività di forme, alcune linee cominciano ad avere maggior rilievo. E tra queste, a me pare essere H «materico» quello che impatto e cattura di più l'attenzione un «materico» che, se anche prende qualche spunto da Burri, in Romano si volge decisamente ad un figurativo impressionistico.
Romano Manescalchi
Una pittura per la vita Artista precocissimo, figlio d'arte, Romano Boriosi sta vivendo una stagione creativa molto tesa e molto robusta. I primi anni di questo secolo XXI Io trovano impegnato in una battaglia figurale che sconfina nell'ossessione che, sconvolgendo una precedente pacata e sottile poetica, erompe in un magma sempre più interamente pulsino e propulsivo. A metà circa del guado di questo primo triennio, la data fatale è quell'I I settembre 2001, a New York di prima mattina, la ferita epocale dell'orgoglio yankee e nel contempo alla libertà di vivere in pace come cittadinanza comune, che ha fatto scrivere e pensare a milioni di donne e uomini dello terra che «niente sarà più come prima». Non so bene se tutto ciò sia accettabile come esegesi antropica, politica e sociale, e filosofica, ma non v'è dubbio, che quello fu un lucido gesto di terrore mai prima visto, e inimmaginabile. Per Romano Boriosi quei pochi minuti di tragedia orrenda furono lo spartiacque fra un vivere in pace sia pur precario e gravido d'ingiustizia, e una prospettiva angosciante. Al di là di ragioni e di torti. Boriosi dipinse di getto 2001. Apocalisse a New York, memore forse, nell'intitolare la grande tela, del capolavoro - profetico - di Stanley Kubrick. Un nuovo mondo di pittura e di rappresentazione visiva si apri, cosi, all'immaginazione e agli strumenti del dipingere di un pittore umbro contemporaneo. E si compì il trittico con I pompieri di New York e infine con Il Cristo dei grattacieli. Tre movimenti sinfonici: Tragedia, Sacrificio, Speranza. Anche l'ultimo portello, del trittico si rifà forse a un libro e a un film, Cristo fra i muratori, una dura storia di immigrati italiani negli States - che rivendicano nella Costituzione il diritto alla happiness. La felicità come valore. Come non trasformarsi in espressionista, volendo esprimere, un pittore, dolore, sangue, morte, guerra, disperazione? L'arte per Boriosi - così per gli espressionisti (consci o no) - non può che negare validità alla supina ricezione dell'impressione (più nell'occhio che nel cuore). E l'artista non può che partecipare attivamente, creativamente, al reale. Dall'interno. Vivere dall'interno il dolore che è sul mondo, come Dostoevskij calandosi in spirito nel fango ma pronti a «riveder le stelle». L'arte, quando denuncia, spezza le armonie delle sfere estetiche, frantuma i canoni e le divine proporzioni, si fa dura, asimmetrica, annulla la correttezza formale, disgrega la bellezza, si fa «brutta», anticipa figurativamente il cosiddetto espressionismo astratto, quell'action painting che é presente come stesure nervose e vibrazioni coloristiche nei quadri ultimi di Romano Boriosi. Quadri polimaterici, grumosi, violenti, accesi, disperati, iconici, sentiti. I suoi dipinti ricordano alla lontana una certa voluta naïveté della Transavanguardia, ma solo come deformazione anatomica, ma deprivata - qui la differenza cruciale - della matrice ironica, autoreferenziale, narcisistica, clownesca. Più appropriata, se mai, la corna «pittura selvaggi. tedesca. Boriosi sublima esasperazione e drammatizzazione «politica» nella «bella» serie di dipinti sacri, nei quali la lettera delle Scritture é sì libera, ma nello stesso tempo fedele, e con alle spalle e nella retina la storia dell'arte occidentale. Nel sacro Romano Boriosi sembra trovare il riscatto, la Rivelazione-Rivoluzione. Qui si tuffa, qui scivola in una «immersione totale». Qui è il rifugio contro la disperazione. La sua nidificazione nel trascendente. Non di maniera, ma energico, energetico, turgido, virile, non codino, alla Rouault. Qui è la sua ultima spiaggia prima dell'alienazione dell'uomo a una dimensione. Prima della nuda disperazione, dello sconforto estremo, del delirio, e dell'urlo. Ed ecco il Verbo come ragno che tesse la tela dell'eternità, i Cavalieri del tempo che inseguono e sconfiggono i Quattro dell'Apocalisse. Ecco il Battesimo come prezioso e fulgido fondo oro dei Primitivi; ecco l'omaggio a Piero, con la Madre accogliente, dipinto bello e sincero. Ecco la Deposizione con farfalla rosa, «ingenua» alla Gauguin dei Mari del Sud; e la Resurrezione con Cristo, scheletrico e ascetico, che ascende vibratile. E San Francesco cosi leggero che il cordone e la croce sembrano ancorarlo mentre vola sopra un'Assisi sbilenca sereno e digiuno e magro come l'ara. Ecco L'ultima cena, rilucente di bronzo e oro come una formella del Ghiberti. E Gesù legato alla colonna é una silhouette ricurva dai polsi legati, così umano nella sofferenza corporale, il capo reclinato. Dal Filo spinato, fotogramma di urla e segregazione martoriante, suprema umiliazione, al Sacro, dunque. Questo il percorso virtuoso (e virtuosistico) di Romano Boriosi, artista precocissimo. Sicché all'esegeta non resta che avvalorare impressioni, suggestioni, emozioni ed «espressioni» tramite alcuni tratti formidabili di Hermann Bahr (Expressionismus, 1920), vergati subito dopo i massacri e le carneficine della Prima Guerra Mondiale. E allora, oggi, tornano alla memoria gli scempi di lager e di gulag nell'Europa di Dante e di Shakespeare, di Tolstoj e di Montaigne, di Goethe e di Beethoven, di Michelangelo e di Vermeer. L'oggi è di trecento guerre sulla terra, un contemporaneo d'orrori, con incombente lo strazio di una guerra imminente. Queste le parole di Bahr, ahimè attualissime: «Mai vi fu epoca più sconvolta dalla disperazione, dall'orrore della morte. Mai più sepolcrale silenzio ha regnato sul mondo. Mai l'uomo è stato più piccolo. Mai è stato più inquieto. Mai la gioia è stata più assente, e la libertà più morta. Ed ecco urlare la disperazione: l'uomo chiede urlando la sua anima, un solo grido d'angoscia sale dal nostro tempo. Anche l'arte urla nelle tenebre, chiama al soccorso, invoca lo spirito». Il grido di Hermann Bahr, così distante, non è - ahinoi - remoto. L'ho ritrovato nella pittura di Romano Boriosi, e lo trascrivo, come un notaio. Antonio Carlo Ponti - Una pittura per la vita
Antonio Carlo Ponti - Una pittura per la vita
Romano Boriosi: tra spiritualismo e spiritualità Chi osserva per la prima volta le opere di Boriosi riceve una forte ed improvvisa sensazione di trovarsi immerso in un contesto di grande esaltazione spirituale. La sensazione iniziale non solo permane, ma si consolida con il procedere dell'analisi e con l'esplorazione attenta di quanto l'artista realizza senza una sostanziale soluzione di continuità tra corpo e spirito, tra mente e anima, tra prorompente vitalità terrena ed esuberante proposizione afona della propria nascendotivi interiore. È una spiritualità vera, fortemente connotata, che si pone, secondo i canoni più discussi, o forse più accettati, come cammino da esplorare, come questione da indagare, come meta da raggiungere o semplicemente come accettazione di una presenzialità che è dentro di noi, che ci appartiene, e che forse ci orienta inconsapevolmente nella nostra esistenza. È proprio in questa visione duale che la corposità interpretativa delle sue opere non si disgiunge da quella immaterialità del messaggio che in se sostiene, e che viene veicolata attraverso una processualità di grande spessore e di altrettanta efficacia comunicativa. Le opere pittoriche di Romano Boriosi dunque, come quelle stereoforme - le sculture per intenderci - si caricano di estremi significati interpretativi capaci di riprogettare con modalità nuove - ma anche vecchie, comunque in una visione di rinnovata enunciazione - un viaggio di introspezione analitica e di ricerca umana, ancora prima che artistica, per ridonare, con determinata scrupolosità, proprio quella naturale tendenza che egli mostra verso forme evolute di misticismo, non solo religioso ma anche nel senso di una profonda dedizione alle proprie idealità valoristiche. Un atteggiamento di devozione quasi assoluta alle proprie convinzioni, alle proprie sensazioni, alle proprie emozioni che trasuda dalla raffinatezza dal gesto pittorico e dall'abilità esecutiva delle sue interpretazioni materiche, e che si carica nel contempo di forti funzionalità viatiche e di una altrettanta laboriosità introspettiva, per traghettare i risultati di una continua ricerca esistenziale capace di focalizzare modi, itinerari e mete per una consapevole riaffermazione di una realtà fondata proprio sulla preminenza assoluta della "res spiritualis". In Romano Boriosi la pulsione artistica, unitamente alla notevole prorompenza interpretativa, non prende semplicemente atto di una scontata attenzione per le esigenze dello spirito, non si configura solamente come una accettata consapevolezza della possessione di una indiscussa "natura spirituale", ma si colloca come elemento essenziale di analisi, come strumento fertile di esplorazione sacrale, come utensile privilegiato per una continua esplorazione anacoretica proprio di quella essenzialità che partendo da una visione immanente, incapace di elevarsi dai confini dell'esperienza e della realtà, assurge, quasi con acciaiosa ieraticità, all'affermazione di valori cardini, di ideali inossidabili, di concettualità universali. E lo fa passando attraverso la celebrazione della genesi, della nascita della vita, della creazione come ano di generazione divina o forse come prodotto di una casualità spontanea, ma anche attraverso il dolore, la sofferenza, l'odio, l'indifferenza, il pentimento, approdando - forse inconsapevolmente, o forse secondo una precisa volontà dialettica - ai giorni nostri, in cui il "Dio unico ed irripetibile" fa trasparire la sua presenza in una tragica Apocalisse a NewYork, in un giorno qualunque, in momento anonimo della nostra vita, per mostrare tutto il suo vigore, tutta la sua energia, tutta la sua forza, lasciando lo spettatore attonito e muto.
Guido Buffoni
Ho scoperto il genio creativo di Romano Boriosi in una mostra presso il "Centro d'Arte Torre Strozzi" di Solfagnano e sono rimasta colpita dal modo in cui il suo linguaggio esprime quella spiritualità, quella passione, quel dolore e quei sentimenti che l'umanità avverte nelle pieghe più intime dell'anima. Nelle sue creazioni l'artista sembra indiarsi nel supremo tentativo di cogliere la totalità e di consegnare un'opera dai tratti universali. Auguro a Romano Boriosi di continuare in questo viaggio esplorativo dell'anima e di portare l'esperienza artistica della nostra terra umbra in ogni luogo in cui l'arte è alimento per uomini e donne.
Ornella Bellini - Assessore del Comune di Perugia
Perugia ospita con grande piacere questa mostra di un artista umbro che ben rappresenta la creatività e la dimensione spirituale della nostra terra. È giusto, soprattutto oggi, affidare agli artisti il compito di lasciare messaggi che rompano la consueta abitudine alla normalità del quotidiano per dischiudere scenari e visioni trascendenti. Il tema che ha ispirato Boriosi, le lacerazioni del mondo contemporaneo, ancor più dopo l' 11 Settembre, è di quelli che coinvolgono tutti noi, nessuno escluso, ma, affidato alla sua sensibilità di pittore, è in grado di trasmettere emozioni profonde e di far riflettere. Ed è questo in fondo il significato più vero dell'arte e degli artisti.
Renato Locchi - Sindaco di Perugia
Come Sindaco, non posso che salutare con soddisfazione ogni nuovo traguardo raggiunto da un concittadino nel proprio campo di attività. Lo faccio con particolare fervore in questo caso, per la propensione all'espressione e creatività che manifesta. Non è del valore di Romano Boriosi che sono chiamata a testimoniare. Compito, questo, affidato a chi, nel segno pittorico e plastico, sa leggere ispirazione e perizia e trasmetterne segreti e significanze. Mi piace far rilevare, questo sì, come l'esigenza poetica e l'eredità spirituale manifestino in Boriosi gli echi della sua (nostra) terra e le radici della nostra (sua) tradizione, trasmessagli dalle sensibilità paterne per i labirinti dell'anima ed i segni dell'antico, con una genesi evocativa di linguaggi capaci di interpretare le passioni ed emergenze intense dell'oggi.
Fernanda Cecchini - Sindaco di Città di Castello
Il compito più impegnativo, e nello stesso tempo più affascinante, nell'attività di conduzione del Centro espositivo della Rocca Paolina sta sicuramente nel perfezionare il rapporto, di volta in volta diverso e spesso addirittura eterogeneo, fra tipo di proposta artistica e capacità dei locali di plasmarsi rispetto al livello espositivo richiesto. La lunga esperienza accumulata in anni di attenzione alle arti visive contemporanee consente oggi di fissare delle "fasce" di tipologie e di costruire il calendario annuale assortendo, per così dire, mostre rispettose di esigenze talora fra loro molto distanti, sia per quanto riguarda il linguaggio dell'artista sia per quanto riguarda il gusto del pubblico; lungo questo percorso, lo strumento regolatore, la linea di equilibrio tracciata è data dalle esposizioni rientranti nel progetto dell "Alante ragionato di arte italiana", che storicizzano e ripropongono settori del Novecento italiano importanti e dimenticati. La mostra con cui Romano Boriosi interpreta il CERP rientra esplicitamente in quel tipo di proposte espositive grazie alle quali si fa il punto sull'evoluzione di una generazione vicina ai cinquant'anni che ha conquistato la sua maturità in Umbria, per mezzo di contatti diretti con grandi, eccelsi maestri, fatta ricca da incontestate eredità spirituali (nel caso di Boriosi, sopratutto quella patena) ma sempre pronta a rimettersi in discussione e a guadagnarsi "sul campo" i titoli che quasi naturalmente parevano essergli dovuti. Tutti questi centri di interesse sono messi bene a fuoco nella disposizione delle opere in mostra e nella loro ripresa, in chiave di autentico approfondimento, nel libro-catalogo, testimonianza a più voci di un mondo culturale con cui l'artista tifernate ha da anni concreti, coerenti, vitali rapporti di collaborazione. Le ultime prove di Boriosi, si vedrà, sono particolarmente dense e tali da concentrare addosso alla loro evidenza l'attenzione del pubblico e della critica. Non si dimenticherà, tuttavia, secondo il più autentico spirito di questa mostra, che esse sono state precedute da un lavoro lungo e tenace, sempre motivato e appassionato, caratterizzato da esiti ogni volta aperti su nuove problematiche. Cosi si potrà ancora meglio apprezzare la ricchezza poetica attuale dell'artista, che sa portare nel solco della tradizione "alta" della nostra terra le ragioni e le speranze, le illusioni e la fede, il dolore e l'impegno, la felicità e le riprese di fiato di un "giovane" del nostro tempo, entusiasta per ogni occasione che gli è data di donare ogni volta un pò del suo patrimonio spirituale.
Silvano Ricci - Assessore alle politiche culturali della Provincia di Perugia
L'arte è da sempre espressione massima di sentimenti, di emozioni, di linguaggi universali, di rappresentazioni della realtà. Romano boriosi, artista Umbro affermato e rinomato non solo nella nostra terra, ma anche oltre i confini regionali e nazionali, ben interpreta quelle sensibilità. nelle sue opere racconta l'epoca in cui vive, ne narra i drammi, ma anche le passioni, offre una lettura moderna e attenta a ciò che ci circonda. Ed è con onore che Perugia torna a ospitare una sua nuova mostra, incentrata, questa volta, sulla moda e sulla figura femminile: un omaggio alla donna, Musa ispiratrice, nei secoli, di tutti gli artisti. Perugia, città d'arte e di cultura, si arricchirà così di ulteriori testimonianze, immagini e segni su cui riflettere e da cui trarre nuove suggestive esperienze.
Renato Locchi - Sindaco di Perugia
È con vero piacere che rivolgo il mio personale saluto all'iniziativa di Romano boriosi. una iniziativa che, sono certa, non potrà che suscitare interesse e riscuotere successo perché propone l'arte nelle sue varie e molteplici sfaccettature. la creatività e il grande talento di Romano boriosi, inoltre, rappresentano una sicura e garanzia di qualità. trovo davvero originale, e culturalmente molto stimolante, l'idea di proporre nei suggestivi e antichi luoghi della rocca Paolina di Perugia un evento che racchiude in sé le diverse forme in cui si manifesta la straordinaria capacità espressiva dell'essere umano.
Maria Rita Lorenzetti - Presidente della regione dell'Umbria
L'arte di Romano Boriosi è multiforme. Il pittore di Città di Castello ottiene l'esito artistico per il tramite di molteplici tecniche fattuali. Non di rado le risultanze concettuali, insorgenti dalle forme di parziale ascendenza primitivista, rimandano alla memoria biblica, a quella dei Vangeli e a quella umana, laddove si sgomitolano le vicende storiche di Cristo uomo, crocifisso e risorto. Ma la curiosità culturale di Romano Boriosi non si esaurisce sul tema religioso. Anzi. Va ben oltre. Distende la sua disincantata sensibilità su svariati soggetti, non ultimi sulle immagini di cavalli in libertà e in positure che ne rivelano il movimento e l'armonia. Che si ritrovano espresse "in toto" nella esplosione cromatica di carnosi fiori, e soprattutto nei nudi femminili, visualizzati in spazi smisurati e stagliati su orizzonti che ne esaltano la centralità e la prepotenza creaturale. Boriosi non trincera le sue donne, denudate della ritrosia e pregiudizio borghese, in falsi pudori e le collega all'armonia cosmica. I corpi delle sue donne sono visualizzate con consistenti tagli cromatici e con una pertinenza segnica determinata. Le campiture coloristiche sono evidenti e materiche, dai toni forti e contrastivi, evidenziali e plastici, sovente funzionali al soggetto e all'oggetto rappresentati. E non solo. Perchè il colore non conosce la spalmitura chiarista e le trasparenze sdolcinate. Non si ritenga questa urgenza ressata rissosa di soggetti e di oggetti, di colore e di materia, come una mancanza di coordinate compositive. Piuttosto si interpreti questo rincorrere e rincorrersi entro la tavolozza di Romano Boriosi come l'urgenza di un giovane che ha ereditato dal padre Nino l'esigenza di perseguire e trasfigurare il bello. Sempre e comunque. Avverte prepotente nel suo fare il bisogno di finalizzare sulla materia e sulla tela ciò ch'è entro e fuori urge. Non tanto per un divertissement, ma semplicemente per generare le sue bellezze e le sue verità. Una bellezza che trova una sua ragione di essere e di divenire anche nell'arte applicata, laddove Romano Boriosi, dimentico del vieti luoghi comuni della pittura e della scultura come "turris" eburnea ed esclusivo privilegio elitario, coniuga le sue risultanze pittoriche e scultoree nell'applicazione su stoffa, vetro e gioielli. Riattualizza, nel suo piccolo, nel manufatto tutta l'opera dell'artigianato artistico e d'autore, tanto caro a quel Rinascimento che sapeva interpretare le arti in una visione unitaria. In continuità di linguaggi. E con qualche utilità pratica nell'andare nel quotidiano. Si potrà opinare quando e quanto si vuole, ma Romano Boriosi è un autentico sperimentatore di tecniche e di linguaggi. Arte senza conclusioni. Offre esiti interessanti e forieri di ulteriori sviluppi tematici ed applicativi.
Giovanni Zavarella
"Quando l'intelligenza è sorretta da una ferrea volontà"
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